Frattura complessa del piatto tibiale: un caso clinico


Introduzione

In questo articolo tratterò delle fratture del piatto tibiale e del loro percorso riabilitativo. Illustrerò anche un caso clinico da me trattato recentemente.

Le fratture del piatto tibiale e il loro trattamento riabilitativo

Frattura piatto tibiale
Le fratture del piatto tibiale rappresentano circa l’1% di tutte le fratture. La frequenza di queste fratture è progressivamente aumentata negli ultimi decenni, soprattutto a causa dell’incremento dei traumi stradali, sportivi e lavorativi.
Nei pazienti più anziani le fratture del piatto tibiale sono generalmente la conseguenza di traumi minori, mentre nei più giovani derivano principalmente da traumi ad alta energia. In quest’ultimo caso il trauma può comportare gravi danni ai tessuti molli che con la frammentazione della frattura aumentano le difficoltà terapeutiche ed i rischi di complicanze.
Le fratture complesse del piatto tibiale devono essere considerate lesioni gravi, che possono avere conseguenze importanti.
Il trattamento di tali fratture è tuttora oggetto di dibattito. Esse sono tra le più lente a consolidare (insieme a quelle dello scafoide); mediamente un maschio giovane impiega circa 5-6 mesi per tornare ai livelli pre-frattura e il rischio di complicanze è elevato. La magnetoterapia può abbreviare significativamente i tempi di consolidamento.
Al più presto possibile, ma comunque a richiesta dell’ortopedico, si deve iniziare la fisiokinesiterapia, che è necessaria a ridare articolarità alla caviglia e al ginocchio, oltre che a rinforzare i muscoli che hanno perso il tono durante l’immobilizzazione.

Frattura piatto tibiale

Il caso clinico

Il caso che presento è quello di un paziente che ha riportato una frattura multipla del piatto tibiale a seguito di incidente stradale.
La frattura è stata trattata chirurgicamente ed è stato applicato un fissatore esterno (vedi foto). Tale fissatore normalmente consente la ripresa del carico totale dell’arto lesionato in tempi abbastanza brevi.
Tuttavia sono sopraggiunte complicanze: una infezione intorno ai perni del fissatore e un episodio di pneumotorace. Pertanto quando ho iniziato il trattamento il paziente era molto debilitato e non riusciva a stare in stazione eretta.


La terapia effettuata

Nella prima fase ho iniziato con un leggero massaggio drenante della caviglia, che tendeva a gonfiarsi, e ho praticato un massaggio di scollamento del quadricipite e del muscolo articolare del ginocchio, per favorire il drenaggio dei liquidi del ginocchio stesso.
Subito dopo ho fatto compiere al paziente esercizi isotonici per la ripresa del tono muscolare del quadricipite.
Il paziente non fletteva minimamente il ginocchio, quindi ho iniziato dei movimenti passivi di flessione, riuscendo nell’arco di qualche seduta ad ottenere una flessione di 90 gradi, che era il massimo consentito dalla presenza del fissatore.
Successivamente, ho fatto svolgere esercizi di estensione della gamba sulla coscia in posizione seduta allo scopo di rinforzare il quadricipite. Nell’arco stesse sedute, allo stesso scopo, ho effettuato anche delle elettrostimolazioni.
Il passo successivo è stato il recupero della stazione eretta, dapprima con carico parziale, poi con carico totale, quindi l’abbandono progressivo delle canadesi, attraverso esercizi in catena cinetica chiusa (di equilibrio, di propriocezione e di rinforzo dei glutei e dei muscoli ischio-crurali).
Il paziente non ha purtroppo potuto effettuare magnetoterapia, a causa di problemi di ipertensione che ne sconsigliavano l’utilizzo.

Frattura piatto tibiale
I risultati

Nell’arco di 10 sedute, il paziente camminava con l’ausilio delle canadesi e dopo un mese camminava senza le canadesi, saliva e scendeva le scale.